Il PD di Reggio Emilia si mobilita per la manifestazione “Una Piazza per l’Europa”, sabato 15 marzo a Roma.
Il Partito Democratico aderisce all’iniziativa “Una piazza per l’Europa” – un’idea lanciata nei giorni scorsi da Michele Serra – una grande manifestazione in difesa dei principi europei, in programma sabato 15 marzo, a Roma.
Per organizzare la nostra presenza, occorre segnalarci la tua adesione: la partenza del pullman è prevista da Reggio Emilia per le ore 7, con ritrovo al Centro Sociale Orologio (via Massenet 19). Rientro in serata.
Puoi prenotare il tuo posto scrivendo a organizzazione@pdreggio.it o telefonando al numero 0522.237901.
Il contributo a sostegno delle spese di viaggio è di 25 euro.
Le ragioni della nostra adesione, nelle parole della segretaria Elly Schlein
Condividiamo qui la riflessione su questa iniziativa della nostra segretaria, Elly Schlein.
L’appello di Michele Serra per una piazza per l’Europa, per la sua unità e libertà, parla di un sentimento condiviso che merita una riflessione. Viviamo un tempo di profonda instabilità globale, segnato da tensioni geopolitiche vecchie e nuove, dal ritorno delle guerre con il loro carico di morti, ingiustizie e angoscia, dalla crisi climatica, dalla dirompente rivoluzione tecnologica, dall’esplosione delle disuguaglianze che rendono i ricchi più ricchi e tutti gli altri più poveri. La rielezione di Trump, favorita da una inedita saldatura tra il nazionalismo delle destre e gli affari di una ristretta oligarchia di tecno-capitalisti come Musk, aggrava questo scenario già complesso.
Siamo di fronte a una concentrazione di ricchezza, potere, dati e tecnologie che non ha precedenti nella storia. I pilastri di quella che è stata la politica estera e la rete di alleanze dell’Occidente, dal dopoguerra a oggi, stanno saltando uno per uno, picconati da Trump con un pericoloso mix di cinismo, irruenza e incoscienza, dal suo nuovo asse con Putin e con la destra nazionalista in tutto il mondo. Vogliono riscrivere l’ordine mondiale a colpi di motosega, affettando il diritto internazionale per sostituirlo con la legge del più forte e del più ricco. A questo pericoloso disegno autoritario ci opponiamo con forza.
Uno degli elementi che accomuna i nazionalisti di tutto il mondo, insieme all’odio per la diversità, all’insofferenza per il dissenso e i diritti, al ritenersi al di sopra di ogni legge, è proprio l’ostilità verso il progetto europeo, la volontà di sabotarlo, dall’esterno e dall’interno. Eppure lo stanno facendo attraverso lo strumento democratico del voto, e su questo bisogna riflettere a fondo e l’Unione europea deve fare autocritica. Se riscuotono consenso alimentando paure è anche perché tra le cittadine e i cittadini in Europa serpeggiano disaffezione, rabbia e frustrazione, non certo immotivate. Moltissime persone hanno visto peggiorare le proprie condizioni di vita, senza che le risposte ai loro bisogni concreti fossero adeguate a ridare speranza nel futuro e fiducia nelle istituzioni. Il benessere che il progetto europeo ha realizzato non è arrivato a tutte e tutti. Gli anni di politiche di austerità hanno allontanato milioni di persone e soltanto il dramma della pandemia ha portato a mettere in campo la solidarietà europea, superando storici veti con scelte coraggiose. Jean Monnet scrisse che “l’Europa si forgerà nelle sue crisi e sarà la somma delle risposte a tali crisi”. Tuttavia, come se quell’esperienza non avesse insegnato nulla, oggi rischiamo di tornare indietro, trascinati dagli egoismi nazionali che hanno sempre tenuto a freno il progetto europeo.
Per tutte queste ragioni, davanti alle nuove sfide del nostro tempo e all’offensiva nazionalista, serve una svolta radicale nell’integrazione europea, o l’Unione rischia di essere spazzata via. Serve l’Europa federale, l’Europa politica.
Due sono le urgenze. Anzitutto occorre superare la regola dell’unanimità, con cui non funziona nemmeno un condominio. Non è possibile permettere ai veti dei singoli Stati, da sempre gelosi delle proprie competenze e magari oggi alleati di Trump o Putin, di bloccare gli avanzamenti europei necessari. Un esempio concreto: abbiamo 27 sistemi fiscali diversi in competizione tra loro, perché qualche Paese vuole fare il paradiso fiscale fregando i suoi vicini e facendo pagare alle multinazionali aliquote dello zero virgola, mentre lavoratori e imprese sono tassati a più del 40%. Ingiusto e insostenibile. E finché non riusciremo a cambiare i Trattati e superare l’unanimità, si proceda con le cooperazioni rafforzate per partire subito con chi ci sta.
E poi serve un nuovo grande piano di investimenti comuni come il Next Generation Eu di almeno 800 miliardi all’anno per puntare all’autonomia strategica dell’Unione: sul piano sociale e di riduzione delle diseguaglianze, sul piano industriale e di conversione ecologica, di ricerca e innovazione digitale, e pure sulla politica estera e la difesa comune (cosa ben diversa dalla corsa al riarmo dei singoli Stati europei).
Questa svolta è quanto mai necessaria per l’Italia: serve una politica industriale europea che sostenga anche la manifattura italiana nell’innovazione e nei cambiamenti necessari, una politica energetica europea in grado di interrompere la dipendenza dalle fonti fossili e abbassare le bollette alle famiglie e alle imprese.
Bisogna essere convincenti sul perché serva un’Europa diversa, più unita e più forte, come questo incida sulla qualità della vita delle persone. L’intenzione degli Stati Uniti di porre dazi al 25% alle importazioni europee, ad esempio, è una guerra commerciale che pagheranno soprattutto imprese, lavoratrici e lavoratori italiani con i salari bassi, già alle prese con le bollette più care d’Europa e quasi due anni di calo della produzione industriale.
Per questo è così grave l’ambiguità del governo italiano, con la presidente Meloni che non sa scegliere tra la bandiera dell’Europa e il cappellino di Trump. Protagonista nelle convention di estrema destra tra motoseghe e saluti romani, a disagio al tavolo con gli alleati europei: il suo silenzio per non contraddire Trump e Musk dopo giorni di insulti all’Unione europea e all’Ucraina sta relegando il nostro Paese al margine della discussione, quando dovrebbe essere protagonista nel rilancio europeo e nella costruzione di pace.
Dobbiamo essere all’altezza di quella grande intuizione maturata su una piccola isola da alcuni giovani antifascisti mandati al confino, che seppero scrivere a Ventotene un manifesto visionario e ancora attuale. Non hanno risposto alla privazione della libertà e all’odio con altro odio, ma con la consapevolezza che l’unico modo per assicurare un futuro migliore alle prossime generazioni fosse superare i nazionalismi, che nel nostro continente hanno sempre prodotto una cosa sola: le guerre. Condividere competenze e risorse, anziché contendersele con le armi o i ricatti. In una parola, l’Europa federale. In grado di avere una voce univoca ed esercitare quel ruolo politico e diplomatico fin qui mancato nella promozione della pace e del multilateralismo, un’Europa democratica che difenda e promuova i diritti e le libertà.
Raccogliamo la sfida che ci pone l’offensiva nazionalista, trasformiamola in opportunità per cambiare davvero l’Europa. E l’unico modo per salvarla. È una prospettiva che riguarda tutte e tutti. E che può diventare concreta solo se saprà suscitare partecipazione popolare e consapevolezza, raccogliendo dietro le bandiere blu le energie e i fermenti che attraversano la società italiana ed europea, incanalando il desiderio di reagire di tante e tanti. Penso alle voci del terzo settore e del volontariato, al mondo della cultura e dell’università, alle forze sociali, ad amministratrici e amministratori locali, a tante persone che credono in un’Europa diversa, unita per un futuro migliore.
Un sasso lanciato nello stagno può trasformarsi in onda se saprà cogliere la doppia esigenza di difendere i valori su cui l’Europa si è fondata che sono sotto attacco, di non dar per scontato i passi fatti fin qui, ma pure di vedere i limiti, gli errori e pretendere insieme un cambiamento. Noi siamo pronti a dare una mano, a metterci a disposizione di una grande piazza senza bandiere di parte se non quella europea, a esserci e pure “scomparire” – come Serra ha chiesto – sotto il mare blu di quelle bandiere che per noi rappresentano identità e speranza. Un abbraccio collettivo che reagisca all’offensiva dei nazionalisti per chiedere la svolta radicale che serve a superare gli egoismi e fare finalmente l’Unione per davvero, realizzando la promessa di Ventotene: un’Europa diversa, unita e libera, più giusta e vicina alle persone. Un’Europa federale. Noi ci saremo.